UNIMATIC Leather Strap
Tutorial: Quando il design incontra la pelle.
Unimatic Leather Strap. Giorgio Cravero
Un progetto fotografico in equilibrio tra essenzialità, materia e precisione tecnica
Quando Unimatic ci ha affidato la realizzazione della Hero Image per il lancio della sua nuova linea di cinturini in pelle, la richiesta era chiara quanto ambiziosa: creare un’immagine capace di esprimere, in un colpo d’occhio, la qualità artigianale del prodotto, la cura per il design e la matericità della pelle, senza compromessi estetici o soluzioni “troppo pubblicitarie”.
Unimatic è un brand con una visione precisa. Nella sua comunicazione c’è rigore, minimalismo e un’identità visiva forte. La sfida, quindi, non era “abbellire” il prodotto, ma tradurlo in immagine senza tradirne il linguaggio.
1. Il brief: fotografare la materia, non l’apparenza
IL’obiettivo era sviluppare uno scatto d’impatto — utilizzabile su sito, social, newsletter e press release — che non perdesse mai il contatto con la realtà del prodotto.
Dovevamo mostrare il cinturino per quello che è, valorizzando il design essenziale, la robustezza costruttiva, la qualità dei materiali.
Nessuna finzione, nessun patinato da catalogo. Solo un’immagine forte e concreta, costruita attorno alla pelle e all’identità del brand.
2. L’idea visiva: eleganza funzionale, calore industriale
L’intero concept visivo ruotava attorno a un equilibrio formale: essenzialità e presenza, pulizia e matericità.
Abbiamo scelto di utilizzare strisce di pelle vere come elemento compositivo. Non semplici texture, ma materia reale da piegare, modellare, mettere in scena in modo tridimensionale.
I toni caldi del cuoio, dell’ocra, del verde oliva e del nero hanno guidato la palette. Il fondale è rimasto neutro per dare pieno risalto alla texture.
Volevamo che l’immagine fosse quasi tattile, come se l’occhio potesse sentire la superficie del materiale.
3. La sfida tecnica: domare la pelle
La parte più complessa è arrivata in fase di set.
Alcune strisce di pelle, quelle in cuoio più rigido, mantenevano la curvatura semplicemente ancorandole all’inizio e alla fine. Bastava posizionarle, ed esplodevano in volumi armonici, come volevamo.
Altre, come quelle scamosciate, più morbide e cedevoli, non avevano la stessa “memoria”.
Abbiamo risolto il problema inserendo al di sotto un’anima rigida incollata, capace di dare forma e struttura alla pelle.
Un lavoro paziente, di microregolazioni continue: non si stava solo fotografando un orologio, si stava letteralmente scolpendo un fondale di pelle.
4. L’approccio fotografico: luce funzionale, controllo totale
Lo scatto è stato realizzato su un piano in plexiglass trasparente, coperto da un diffusore Lee 216. L’illuminazione principale proveniva dal basso, creando una base luminosa uniforme e neutra.
Sopra, 3 bank di plexiglass mi hanno aiutato ad avere un controluce morbido ma direzionale, utile a sfumare la cassa dell’orologio e a darle volume senza eccessi. Gli altri due, ai lati contribuivano a sostenere il colore e la texture della pelle, portando luce nelle pieghe del fondale tridimensionale senza bruciarne i contrasti. Per ultimo un proiettore per illuminare leggermente SOLO il quadrante dell’orologio, in posizione zenitale.
La luce era studiata per restituire profondità e matericità, ma a rendere davvero efficace la resa è stata la scelta dell’ottica: abbiamo scattato con il Fujifilm GF 110mm Tilt-Shift, che ci ha permesso di inclinare il piano di messa a fuoco per ottenere nitidezza perfetta su tutta la scena in un unico scatto.
Nessun focus stacking, nessun compromesso: solo un controllo ottico totale, pensato per rispettare la tridimensionalità della composizione senza doverla “aggiustare” in post.
Un set semplice sulla carta, ma estremamente calibrato nei dettagli: ogni riflesso, ogni luce, ogni passaggio tonale era pensato per far parlare la materia — con precisione e rispetto.
Conclusione: la pelle non mente
Lavorare con materiali veri, complessi e tridimensionali significa rimettere la fotografia al suo posto originario: quello della fisicità.
Oggi siamo abituati a postproduzioni infinite, a set virtuali, a superfici perfette. Ma quando il soggetto è la pelle — vera, viva, irregolare — non puoi barare.
Ogni scelta di luce, di composizione, di messa a fuoco è un atto di rispetto verso la materia. E ogni errore, in queste condizioni, si vede.
Ed è proprio per questo che fotografare così è ancora un mestiere. Un mestiere che va imparato, sbagliato, e rifatto fino a quando la pelle comincia a parlare da sola.